MANIFESTO
Climate Social Camp 2023

2. In quale contesto ci troviamo?
3. La crisi climatica tra cause e responsabilita'
4. L’acqua come campo di conflitto tra siccita’, emergenza idrica ed eventi climatici estremi
5. Siccita’ in europa e water wars nel mondo
6. Cemento: motore di devastazione, marginalizzazione e poverta'
7. Il modello grandi opere: piegare il territorio al profitto e al dominio
8. PNRR: excursus sull’utilizzo dei fondi pubblici
9. Quale proposta? Creare ed organizzare relazioni ed alleanze
L’anno scorso abbiamo organizzato il primo Climate Social Camp a Torino, un’esperienza che ha unito un’incredibile varietà di persone in 5 giorni di approfondimento sulle lotte climatiche ed ecologiste, sulle pratiche di lotta e le prospettive dell’ecologia radicale. Il CSC è nato dalle realtà di Torino ecologiste, femministe, studentesche in concomitanza al Meeting europeo di Fridays for Future. Quest’anno organizziamo nuovamente il campeggio, sulle radici del precedente ma con la volontà di sperimentare forme nuove e scendere con maggior profondità di analisi e confronto su alcune questioni che riteniamo centrali nella fase storica attuale. Ciò che ci unisce è la lotta per la giustizia climatica e sociale, di una giustizia quindi ecologica intesa come vita in equilibrio tra tutto il vivente umano e non umano e il non vivente. Questa è la spinta che ci permette di unire le energie e le idee in questi tempi difficili, riconoscendo le differenze che ci rendono eterogene3 e facendone un punto di forza. Organizziamo un campeggio perchè è un momento dedicato. Un momento in cui i percorsi che tracciamo sui territori che viviamo possono raccogliersi, incontrarsi e legarsi, possiamo fare un punto e basare ancora una volta il nostro percorso sul dialogo e sulla capacità di generare relazioni, relazioni di lotta e di resistenza. E’ una sfida perchè richiede impegno, richiede fare un passo indietro, ma senza arretrare, per dare spazio a tutt3.
Come? Crediamo nei principi dell’autorganizzazione, del dialogo e dei metodi decisionali democratici. La lente di lettura con cui guardiamo a questa fase storica e attraverso cui costruiamo questo campeggio è l’ecologia. L’ecologia è una scienza critica, sistemica, è una scienza che analizza ma che nella sua pratica ricostruisce, crea e propone alternativa. E’ sul solco di questa scienza, sociale, scientifica, politica ed etica al contempo, che vogliamo guardare al futuro, immaginare, creare e organizzare la nostra alternativa!
Riteniamo che non si possa organizzare una società libera e giusta, quindi democratica, senza includere una prospettiva transfemminista radicale. Nell’organizzare il campeggio, nei giorni di confronto e di azione vogliamo che questi temi e queste pratiche siano centrali: formarci nelle pratiche, confrontarci sulle prospettive, condividere e scoprire insieme forme che possano aiutarci a essere una rete, in grado di avanzare insieme capillarmente.
Il campeggio sarà esso stesso un momento di azione e resistenza ecologista, sorgendo in un parco che il Comune ha venduto alla catena di supermercati Esselunga per la costruzione di un nuovo punto vendita.

Prima di analizzare le tematiche del Climate Social Camp 2023, è importante soffermarci sulla fase storica in cui ci troviamo. Questo approfondimento è fondamentale poiché indagando le radici storiche del presente e quanto oggi accade possiamo capire e scegliere come agire. Il coinvolgimento dell’Italia nello scenario bellico mondiale è in continuo crescendo, oggi questo trova la sua espressione in Europa nel conflitto russo-ucraino. Quest’ultimo s’inserisce in un quadro ben più ampio di guerre che vengono orchestrate e condotte dalle potenze imperialiste (quali USA, Russia e non solo) definendo così il carattere globale dell’attuale conflitto europeo. Il nostro paese, seppur mantenendo un limitato peso politico, risulta essere una delle figure centrali in questo scenario, grazie alla sua posizione geostrategica al centro del cosiddetto Mediterraneo Allargato: l’area di “diretto interesse nazionale” che si delinea dall’Oceano Atlantico fino al Medio Oriente e al Golfo Persico. Ed è proprio in quest’area che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha portato avanti, guidata dagli Stati Uniti attraverso il blocco NATO, interventi militari di vario tipo, con particolare attenzione a tutte quelle zone in cui gli interessi energetici sono maggiori. Questi si sono concentrati principalmente nei paesi dell’Africa del Nord, quali Libia, Algeria ed Egitto, e in quelli del Medio Oriente come Iraq, Oman e Libano, andando così a supportare e a collaborare, come nel caso della Turchia e Israele, con regimi autoritari e coloniali. L’Italia sta attualmente cercando, in maniera sempre più intensa, di ritagliarsi il proprio posto all’interno del nuovo ordine multipolare globale, mirando a diventare il nuovo hub del gas per l’Europa in modo da svolgere il ruolo di ponte tra il Medio Oriente, l’Europa e l’Africa, andando ad intervenire militarmente e con accordi politici in aree specifiche del Nord Africa, quali Tunisia, Algeria ed Egitto e del Medio Oriente per l’approvvigionamento del gas e avviando progetti di costruzione di gasdotti e rigassificatori su tutto il proprio territorio nazionale. Nonostante più del 60% della popolazione non sia a favore del coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Ucraina, il governo continua a investire nel riarmo, nella militarizzazione dei territori, in missioni militari in tutto il mondo e in una sempre più accentuata conversione bellica della filiera industriale. Solo nell’ultimo anno sono stati spesi oltre un miliardo di euro per le armi inviate in Ucraina. Le spese aumentano costantemente con l’aumentare dei progetti di costruzione di basi ed esercitazioni militari su tutto il territorio nazionale, con l’implementazione di infrastrutture energetiche, o con la costruzione di nuovi poli della NATO. L’occupazione del territorio italiano per fini bellici è massiva, la servitù militare agli USA e per la NATO colpisce quasi tutte le Regioni, interessandone alcune in modo massiccio. Primi tra tutti ricordiamo la costruzione della nuova base militare a Coltano, comune vicino a Pisa, città che da tempo è diventata un’area nevralgica per il settore militare anche grazie alla vicinanza con il porto di Livorno e alla presenza dell’aeroporto militare.
La Sardegna, con oltre 35 mila ettari di territorio destinato a servitù militare, e la Sicilia sono diventate le regioni più militarizzate d’Europa, nelle basi militari e nei poligoni delle isole si addestrano eserciti di tutto il mondo appartenenti al blocco Nato, con conseguente sottrazione del territorio, deturpazione ed inquinamento che hanno ricadute ambientali, di salute, sociali, economiche e culturali inquantificabili. L’occupazione dei territori però non si riduce soltanto a ciò che riguarda direttamente la filiera bellica. L’interesse del nostro governo nell’investire nell’implementazione delle infrastrutture energetiche presenti sulla penisola ha portato ai progetti dei rigassificatori di Piombino e Ravenna e dei gasdotti che giungono in Puglia, Sicilia e Sardegna. Sono più di 40 le missioni militari portate avanti dal nostro governo: di queste più di 20 colpiscono i territori del Nord e Centro Africa dove si trovano i maggiori interessi energetici di colossi come ENI, principale azienda energetica italiana partecipata dal Ministero di Economia e Finanze per il 30%, i cui ricavi annui superano il centinaio di miliardi di euro. In tutti i territori in cui opera ENI si trovano infrastrutture anche di Leonardo, principale azienda bellica italiana, e l’Esercito italiano a riprova della violenza e dello scopo di dominio e accaparramento di risorse che spingono lo Stato italiano a colonizzare altri territori. Tutto ciò avviene mentre in Italia il 50% dei lavoratori dipendenti non arriva ad un reddito di 20mila euro annui, le bollette hanno un aumento del 131% a fronte degli extraprofitti delle compagnie energetiche: il carovita sta diventando economicamente e socialmente insostenibile. Aldilà di ogni opinione, possiamo dire che gli Stati-nazione e le macro potenze economiche combattono per ottenere l’egemonia globale a scapito delle popolazioni e delle società. Fermare questa spirale di violenza bellica sui nostri territori è necessario per porre fine a morti e devastazione.
Prima di analizzare le tematiche del Climate Social Camp 2023, è importante soffermarci sulla fase storica in cui ci troviamo. Questo approfondimento è fondamentale poiché indagando le radici storiche del presente e quanto oggi accade possiamo capire e scegliere come agire. Il coinvolgimento dell’Italia nello scenario bellico mondiale è in continuo crescendo, oggi questo trova la sua espressione in Europa nel conflitto russo-ucraino. Quest’ultimo s’inserisce in un quadro ben più ampio di guerre che vengono orchestrate e condotte dalle potenze imperialiste (quali USA, Russia e non solo) definendo così il carattere globale dell’attuale conflitto europeo. Il nostro paese, seppur mantenendo un limitato peso politico, risulta essere una delle figure centrali in questo scenario, grazie alla sua posizione geostrategica al centro del cosiddetto Mediterraneo Allargato: l’area di “diretto interesse nazionale” che si delinea dall’Oceano Atlantico fino al Medio Oriente e al Golfo Persico. Ed è proprio in quest’area che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha portato avanti, guidata dagli Stati Uniti attraverso il blocco NATO, interventi militari di vario tipo, con particolare attenzione a tutte quelle zone in cui gli interessi energetici sono maggiori. Questi si sono concentrati principalmente nei paesi dell’Africa del Nord, quali Libia, Algeria ed Egitto, e in quelli del Medio Oriente come Iraq, Oman e Libano, andando così a supportare e a collaborare, come nel caso della Turchia e Israele, con regimi autoritari e coloniali. L’Italia sta attualmente cercando, in maniera sempre più intensa, di ritagliarsi il proprio posto all’interno del nuovo ordine multipolare globale, mirando a diventare il nuovo hub del gas per l’Europa in modo da svolgere il ruolo di ponte tra il Medio Oriente, l’Europa e l’Africa, andando ad intervenire militarmente e con accordi politici in aree specifiche del Nord Africa, quali Tunisia, Algeria ed Egitto e del Medio Oriente per l’approvvigionamento del gas e avviando progetti di costruzione di gasdotti e rigassificatori su tutto il proprio territorio nazionale. Nonostante più del 60% della popolazione non sia a favore del coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Ucraina, il governo continua a investire nel riarmo, nella militarizzazione dei territori, in missioni militari in tutto il mondo e in una sempre più accentuata conversione bellica della filiera industriale. Solo nell’ultimo anno sono stati spesi oltre un miliardo di euro per le armi inviate in Ucraina. Le spese aumentano costantemente con l’aumentare dei progetti di costruzione di basi ed esercitazioni militari su tutto il territorio nazionale, con l’implementazione di infrastrutture energetiche, o con la costruzione di nuovi poli della NATO. L’occupazione del territorio italiano per fini bellici è massiva, la servitù militare agli USA e per la NATO colpisce quasi tutte le Regioni, interessandone alcune in modo massiccio. Primi tra tutti ricordiamo la costruzione della nuova base militare a Coltano, comune vicino a Pisa, città che da tempo è diventata un’area nevralgica per il settore militare anche grazie alla vicinanza con il porto di Livorno e alla presenza dell’aeroporto militare.
La Sardegna, con oltre 35 mila ettari di territorio destinato a servitù militare, e la Sicilia sono diventate le regioni più militarizzate d’Europa, nelle basi militari e nei poligoni delle isole si addestrano eserciti di tutto il mondo appartenenti al blocco Nato, con conseguente sottrazione del territorio, deturpazione ed inquinamento che hanno ricadute ambientali, di salute, sociali, economiche e culturali inquantificabili. L’occupazione dei territori però non si riduce soltanto a ciò che riguarda direttamente la filiera bellica. L’interesse del nostro governo nell’investire nell’implementazione delle infrastrutture energetiche presenti sulla penisola ha portato ai progetti dei rigassificatori di Piombino e Ravenna e dei gasdotti che giungono in Puglia, Sicilia e Sardegna. Sono più di 40 le missioni militari portate avanti dal nostro governo: di queste più di 20 colpiscono i territori del Nord e Centro Africa dove si trovano i maggiori interessi energetici di colossi come ENI, principale azienda energetica italiana partecipata dal Ministero di Economia e Finanze per il 30%, i cui ricavi annui superano il centinaio di miliardi di euro. In tutti i territori in cui opera ENI si trovano infrastrutture anche di Leonardo, principale azienda bellica italiana, e l’Esercito italiano a riprova della violenza e dello scopo di dominio e accaparramento di risorse che spingono lo Stato italiano a colonizzare altri territori. Tutto ciò avviene mentre in Italia il 50% dei lavoratori dipendenti non arriva ad un reddito di 20mila euro annui, le bollette hanno un aumento del 131% a fronte degli extraprofitti delle compagnie energetiche: il carovita sta diventando economicamente e socialmente insostenibile. Aldilà di ogni opinione, possiamo dire che gli Stati-nazione e le macro potenze economiche combattono per ottenere l’egemonia globale a scapito delle popolazioni e delle società. Fermare questa spirale di violenza bellica sui nostri territori è necessario per porre fine a morti e devastazione.